Il monumento a Francesco Nullo in Largo Gavazzeni, nel centro di Bergamo

“Il più bell’uomo della spedizione”: Bergamo sa ancora chi è Francesco Nullo?

A 155 anni dalla sua scomparsa, Bergamo oggi ricorda Francesco Nullo, uno dei bergamaschi più illustri, protagonista della spedizione dei Mille e caduto per la libertà della Polonia, dove è ricordato come eroe nazionale. Per non dimenticarlo, pubblichiamo l’intervento che il professore Arturo Colombo, uno dei massimi studiosi del Risorgimento italiano, dedicò a Nullo poco prima della sua morte, nel 2016.

Comune di Bergamo
6 min readMay 7, 2018

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“Il più bell’uomo della spedizione”: ecco l’immagine che di Francesco Nullo ha voluto lasciarci Giuseppe Cesare Abba all’epoca della campagna dei Mille. E una conferma, non meno espressiva ed eloquente, traspare dal ritratto di Nullo, tuttora conservato a Bergamo, nel Museo del Risorgimento; è un ritratto dipinto dal pittore Eleuterio Pagliano, suo compagno in varie imprese garibaldine, che ci mostra quel volto così espressivo, con due occhi vividi sotto le folte arcate sopraciliari, i baffi neri, il naso aquilino, la fronte resa ancora più luminosa dal contrasto con la capigliatura molto scura. Se nel volto c’è il segno genuino della personalità di ciascuno, ecco emergere le caratteristiche più autentiche di Nullo: quel vivacissimo ardore di tipo garibaldino, misto a una severa intransigenza di stampo mazziniano.

Infatti, durante gli anni compresi tra il 1848 e il 1863 — esattamente un quindicennio, decisivo per la sua vita ma altrettanto fondamentale per il tormentato processo storico e politico del nostro Paese — Nullo riesce a dimostrare quanto sia stato forte, costante e coerente il suo impegno, di cui vari esperti hanno saputo ripercorrere le tappe principali, documentando il significato di un’esperienza rapida quanto intensa, che gli costerà il sacrificio della vita, quando non aveva ancora raggiunto il traguardo dei quarant’anni.

Fin dal 1848 Nullo era accorso a Porta Tosa, nella capitale lombarda, durante le Cinque Giornate. E l’anno dopo non aveva perso tempo, e subito era andato a Roma durante il breve, convulso periodo della Repubblica Romana del ’49, anche se — nonostante l’impavida resistenza di Garibaldi — la conclusione era stata drammatica. Ma fin d’allora Nullo aveva capito benissimo che non bisognava lottare soltanto per rendere l’Italia “una, libera, indipendente”, perché la posta in gioco era molto più alta. Infatti, sul giornale “Italia del Popolo” del 15 giugno 1848, Mazzini aveva sostenuto con molta chiarezza: “Noi vagheggiamo la grande federazione dei popoli liberi: crediamo nel patto delle nazioni, nel congresso europeo che interpreterà pacificamente quel patto”.

Del resto, già nel 1836 — quando Nullo aveva appena dieci anni — il convincimento di Mazzini era stato esplicito, a proposito del “segreto della Polonia futura”, che “non può trarre speranza se non dall’eccesso della sua sventura e dal suono della campana a stormo dei popoli suoi fratelli”. E in effetti, basta soffermarci su alcune date — 1848-’49, 1860-’61, 1863 — per verificare subito che si tratta di date-chiave, riguardanti le vicende che sono accadute durante il XIX secolo, e che hanno messo in luce gli stretti legami tra i patrioti italiani e quelli polacchi. A ulteriore conferma — caso mai ce ne fosse bisogno — di un’altra e suggestiva affermazione di Mazzini, che già nel 1847 aveva sostenuto “una misteriosa simpatia fra questi due popoli”, aggiungendo che anche in futuro “questa simpatia si rivelerà in fatti inattesi e prepotenti”.

Tant’è vero che di lì a pochissimo tempo, durante l’esperienza della Repubblica Romana, accanto a Nullo e agli altri volontari italiani c’è anche la Legione polacca, capeggiata da Adam Mickiewicz, che interviene per dimostrare, una volta di più, che ogni lotta per l’indipendenza e la libertà non ha stretti confini nazionali ma risponde a quella comune volontà di cooperare alla “primavera dei popoli”, così da farla finita con il persistere di re, despoti e tiranni, e inaugurare una nuova era caratterizzata dall’uguaglianza e dalla democrazia.

Proprio in questa prospettiva si spiega l’episodio della spedizione italiana in terra polacca nella primavera del 1863, dopo il perentorio invito “Non abbandonate la Polonia”, lanciato da Garibaldi il 15 febbraio, con l’aggiunta, non meno decisiva, che “tutti i popoli d’Europa hanno il dovere di aiutare questa infelice nazione, che prova al mondo ciò che può la disperazione”. E subito erano partiti da Bergamo Nullo e suoi compagni, pronti a far proprie anche le parole del sindaco di allora, Giovan Battista Camozzi, che aveva invitato, anzi incitato i suoi concittadini a intervenire “ovunque siavi una barbarie da frenare”, o addirittura “un dispotismo da abbattere”.

Nullo, pur ancora così giovane (classe 1826), si era già conquistato un meritorio curriculum. Nel 1859, durante la seconda guerra d’indipendenza, era stato con i Cacciatori delle Alpi, distinguendosi a San Fermo; e l’anno dopo, è con i Mille di Garibaldi. Ecco come l’ha descritto, all’indomani della morte, Giuseppe da Forio, in un commosso “elogio funebre” tenuto in quel di Avellino: “Nullo non si arresta innanzi a nessun pericolo, pugna come leone, indefessamente, coraggiosamente. La sua voce animatrice risuona per i boschi e per le valli: il suo braccio è sempre pronto a ferire, il suo petto sempre esposto al nemico. E quando ferve la mischia, mentre altri cadono estinti, a lui tocca una ferita, gloriosa ferita”.

Ma arriviamo al 1863, quando i polacchi insorgono, chiedendo solidarietà e aiuti. Non solo Garibaldi, ma anche Mazzini spinge per un concreto esempio di solidarietà. Sul settimanale milanese “Il Dovere” del 14 marzo 1863 ha parole taglienti contro l’Europa “ufficiale”, “governativa”, con quel suo “schifoso spettacolo d’egoismo, d’indifferenza, di negazione d’ogni pensiero di progresso, d’ogni impulso generoso, d’ogni senso di dovere fraterno”. Parole che scuotono Nullo e i suoi compagni. Tant’è vero che fra il 19 e il 25 aprile partono in diciotto: oltre a Nullo, Luigi Caroli e Settimo Patelli, Paolo Mazzoleni e Febo Arcangeli, Giovanni Maggi e Luigi Testa e gli altri compagni, tutti decisi a portare aiuto a quel “popolo martire”.

La spedizione risponde agli ordini di Nullo, anche se formalmente il comando è nelle mani di un giovane polacco, di nome Joseph Miniewski, attivissimo ma, purtroppo, digiuno di tattica e strategia militare. Con il risultato che già il 2 maggio a Cracovia alcuni componenti della spedizione di volontari italiani finiscono uccisi. E tre giorni dopo, il 5 maggio 1863, in località Krzykawka — nonostante la passione e l’ardore con cui incitava i suoi a combattere — tocca a Nullo la sorte crudele di essere colpito all’improvviso da una pallottola, che gli penetra nel fianco destro e lo uccide all’istante. “Questa perdita — dirà ancora Giuseppe da Forio, rivolto a chi lo ascoltava ad Avellino — associa due grandi nazioni. Il sangue ancora caldo di figli italiani si mischia con quello dei polacchi. Italia, tu piangi oggi il tuo figlio, e la Polonia piange un suo eroe”.

Sono passati più di centocinquant’anni: un periodo di tempo che ha visto cambiare il volto di tanta parte dell’Europa, costretta, per colpa delle classi politiche al potere, a subire le rivalità, gli scontri, persino le tragedie fra gli Stati nazionali sempre gelosissimi delle loro sovranità (anche se troppe volte quelle “sovranità” risultavano più apparenti che reali!). Malgrado il susseguirsi di esperienze belliche anche cariche di risultati drammatici — come mostrano i due tremendi conflitti che hanno insanguinato il XX secolo e le nuove guerre del XXI secolo — il processo di democratizzazione della vita politica nel mondo non si è fermato e l’obbiettivo di porre fine alle rigide barriere fra gli Stati del nostro continente, pur discusso e contestato da alcuni, resta nell’agenda della politica europea.

Non è ancora il traguardo, caro a Mazzini, a Cattaneo e a tanti loro seguaci, di riuscire finalmente a unificare l’Europa, dandole quel concreto assetto federale, che abbiamo imparato a conoscere attraverso un testo esemplare come il “Manifesto di Ventotene”, lanciato nel pieno del secondo conflitto mondiale da Ernesto Rossi e da Altiero Spinelli, impavidi sostenitori di “un’Europa libera e unita”. Comunque ogni volta che si ripropone il problema — complesso ma indispensabile — di “fare l’Europa”, possiamo star certi che, accanto agli “europeisti” del XIX e del XX secolo, non può mancare il nome di Francesco Nullo, e la sua appassionata eredità etico-politica.”

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